martedì 11 settembre 2012

[racconto] Il volo della farfalla


[aprile 2012]



Olga fissò con occhi sbarrati la porta blindata chiusa davanti a lei. Istintivamente si frugò le tasche vuote della vestaglia alla ricerca delle chiavi di casa, quelle stesse chiavi che la Signorina le aveva lasciato in custodia prima di partire per il fine settimana, e che ora giacevano dimenticate sul mobiletto all'ingresso.
Bestemmiando silenziosamente si chiese a quale degli inquilini potesse chiedere aiuto. Da anni lavorava in quel palazzo e tutti la conoscevano. Aveva servito tante anziane, prima facendogli le pulizie in casa e poi assistendole quando restavano in carrozzina. Nessuno si era mai lamentato, ma chi ti apre la porta all'alba di domenica? Maledetta lei e la sua testaccia quando aveva deciso di andare a buttare la spazzatura mezza addormentata.

Avrebbe potuto bussare da Giorgia, la figlia di una vecchia del secondo piano per cui aveva lavorato due anni prima, senza neanche chiederle i contributi. Ma no, aveva i bambini piccoli e si sarebbe arrabbiata; nel palazzo era una che contava e non conveniva farsela nemica.
Oppure sarebbe potuta andare dalla Signora Maria, al quinto piano. La vedova dell'Avvocato, era sempre gentile con lei e a volte le offriva caffè e pasticcini, solo per chiacchierare un po'. Prima avrebbe borbottato, ma poi le avrebbe chiamato i pompieri. Sì brava, proprio i pompieri le ci volevano, così tutto il palazzo avrebbe saputo quello che era successo. Le solite vipere avrebbero chiamato subito la Signorina dai suoi parenti al Nord e chissà cosa si sarebbero inventate stavolta.



Magari sarebbe saltata fuori ancora la storia di Mario, anche se non lo vedeva da mesi, da prima che tornasse in Romania per farsi curare. Che poi curare non l'avevano curata per niente: "Non si preoccupi signora," - le aveva detto comprensivo un dottorino fresco di laurea, in attesa che lo chiamassero in Inghilterra, dove là sì che i dottori fanno carriera, mica come qui, dove soldi ne girano pochi e solo se hai gli agganci giusti - "il suo tumore è fermo da anni. Potrebbe diffondersi ancora, certo, ma alla sua età è raro, mi creda. Se dovesse sentire ancora dei dolori al petto prenda queste pastiglie finché non le passano, no non le deve pagare, non si preoccupi. Stia serena e si ricordi di tornare tra sei mesi per il prossimo controllo". Lei si era rimessa la camicetta, nascondendo pudicamente la farfalla tatuata che le ornava la spalla. Lo aveva ringraziato, aveva accettato le pillole ed era salita subito sull'autobus per tornare in Italia. Aveva ancora delle buone conoscenze e qualcuno l'avrebbe aiutata a entrare al Policlinico per curarsi. Al Policlinico non ci era ancora entrata, ma almeno un lavoretto tranquillo l'aveva trovato e poteva tirare il fiato.

E adesso questo. No, nessuno doveva saperlo. Avrebbe risolto tutto a modo suo. Sarebbe andata da un vecchio fabbro che abitava nel quartiere e aveva lavorato tante volte in casa delle sue padrone. In due minuti le avrebbe aperto la porta, per una buona mancia sarebbe stato zitto e l'incidente non sarebbe mai esistito.
Olga si girò e si avviò verso l'uscita, sollevata di aver trovato una soluzione. Dopo pochi passi fatti sul pianerottolo però si bloccò di colpo. Cos'era quel filo di fumo che usciva dalla sua cucina, ben visibile dal finestrone del pianerottolo? Che scema! Prima di uscire aveva messo sul fuoco le pentole con lo stufato per Irina. Quel giorno aveva invitato a pranzo la sua migliore amica senza neanche chiedere il permesso alla padrona, ma aveva messo troppa poca acqua nelle pentole e se non l'avesse aggiustata in fretta la carne avrebbe iniziato a bruciare.

Attraverso il finestrone continuò a fissare il fumo che usciva dalla cucina, come se avesse potuto fermarlo con la sola forza di volontà. Tra poco le pentole sarebbero bruciate, lo sapeva, e cosa sarebbe successo se il fuoco si fosse attaccato anche ai mobiletti? La Signorina era fissata per l'ordine e la pulizia della casa. Cosa avrebbe detto se i pompieri l'avessero chiamata per dirle che la sua cucina stava bruciando per colpa di una domestica stupida e sbadata? Di sicuro l'avrebbe cacciata su due piedi. Già quella volta che aveva rotto il vaso all'ingresso si era infuriata come una tigre e gli aveva tolto cinquanta euro dalla paga, ma stavolta l'avrebbe rimandata diritta in Romania e avrebbe parlato talmente male di lei nel quartiere che nessuno le avrebbe offerto più un lavoro, figurarsi un letto.

Uno spiffero di aria fredda proveniente dal finestrone la riportò alla realtà. Il fumo sembrava più spesso ora, ma cosa avrebbe potuto fare, si chiese mordendosi nervosamente le labbra. E pensare che da lì le sarebbe bastato un salto, un solo salto, per aggrapparsi al balcone ed entrare in cucina. La ringhiera del terrazzino non distava più di due metri dal punto in cui lei si trovava. Anche se non ci fosse arrivata, lì di fianco sporgeva il travetto di ferro a cui erano fissati i fili del bucato, al massimo ad un metro e mezzo, e quello non lo avrebbe potuto mancare di certo. Aveva già studiato quel salto in passato, e aveva anche avvertito la Signorina di chiudere sempre la porta della veranda perché chiunque, poteva saltarle in casa, ma lei non gli aveva creduto:  "Solo a te possono venire certe idee, Olga. Soltanto uno scoiattolo, come quelli che ci sono dalle mie parti, riuscirebbe a saltare da lì sotto."
"Si sbaglia" - gli aveva risposto lei - "quando ero una ragazzina, in Romania, saltavo dal tetto della stalla di mio zio alla terrazza ed era anche più lontano di così."
"Sì, ma se cascavi dove finivi?"
"Sul fieno per le mucche."
"Appunto, lo vedi qui sotto quant'è alto? E quello non è fieno, ma cemento. No, solo un matto ci proverebbe!".

Già, l'altezza, non aveva mica torto la Signorina. L'appartamento era al primo piano, ma il balcone si affacciava su un cortiletto ribassato e da terra c'erano almeno sette metri.
Doveva fare qualcosa subito, la paura le faceva scoppiare la testa e le stringeva il cuore in una morsa. Se saltava rischiava la pelle, ma se restava ancora lì a guardare senza fare nulla la cucina sarebbe andata in malora e con essa anche le sue speranze di restare in Italia.
Con uno scoppio soffocato il fumo aumentò e lei cominciò a vedere il fuoco che lo alimentava, la carne aveva cominciato a bruciare, non c'era più tempo da perdere. Senza neanche rendersene conto spalancò il finestrone e salì in piedi sul cornicione di granito. Il freddo del mattino penetrò attraverso le ciabatte e per un attimo abbassò lo sguardo sul cemento del cortile. Non doveva guardare di sotto. Lei si sentiva ancora forte, era capace di alzare una invalida di ottanta chili dal letto e metterla sulla carrozzina da sola, e la ringhiera era lì, la poteva quasi toccare.

Un nuovo sussulto del fuoco le tolse ogni dubbio. Si fece il segno della croce, poi si schiacciò come una molla sul bordo del finestrone e infine si lanciò con tutta la sua forza, tendendo le braccia verso il balcone. E come volava! Si sentiva di nuovo la ragazzina che saltava tra i tetti senza paura, leggera come una farfalla; e poi non era vero che sotto c'era il fieno delle mucche, quello era fango dei maiali, ma tanto lei non era mai caduta, e non sarebbe caduta nemmeno stavolta.
Vide la ringhiera avvicinarsi. Ci era riuscita. No, non era la ringhiera, era il travetto del bucato. No, erano solo i fili.
Olga si aggrappò ai fili carichi di panni. Per non spezzarli col proprio peso li afferrò tutti insieme, restando aggrappata con il braccio destro mentre col sinistro si allungava verso il balcone, scostando disperatamente le lenzuola umide.
Il primo filo si ruppe con uno schianto, portando con sé verso il basso un lenzuolo, un paio di ciabatte e tutto il coraggio di Olga. Il suo urlo, la sua disperata richiesta di aiuto, squarciò l'assonnata atmosfera della domenicale del condominio come un'esplosione.

Giorgia fu la prima ad affacciarsi alla finestra che dava sul cortile, svegliata da quel grido di terrore e dal tonfo sordo che ne era seguito. Ci mise qualche istante a riconoscere la figura insanguinata di Olga in mezzo al cortile, nascosta com'era dai panni caduti e dal fumo che usciva dalla cucina.
Mentre Giorgia correva a svegliare il dottore del quarto piano Olga riuscì a riaprire un attimo gli occhi. Aveva dolori dappertutto e non riusciva a muoversi, ma ora non aveva più paura, aveva fatto del suo meglio per salvare la cucina della Signorina e nessuno avrebbe potuto rimproverarla. Ora desiderava solamente riposare. Sognando un candido letto di ospedale trovò anche la forza di sorridere al buio che morbidamente l'avvolgeva.

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